“È incredibile come il tuo fisico e la tua mente reagiscano
quando la pressione è spinta al limite.
Ti riescono cose che non ti credi capace di poter realizzare.”
Tiger Woods
Mi piace pensare a un articolo che chiarisca realmente e concretamente cosa intendo per mentalità Kaizen applicata allo sport. La scelta è vasta. Il mio studio è pieno di ancore visive dei più vincenti sportivi di ogni epoca. Lo sguardo fa poca fatica a trasmettermi sensazioni di successo. Fotografie, libri, articoli, video e audio posti dove ho scelto che venissero posti, mi fanno stare bene, mi ‘parlano’ in qualche magico modo. Ognuno di essi è una storia: una carriera, un uomo e un professionista, una donna e una campionessa, ognuno con la propria personale straordinaria vita. Cercavo l’esempio perfetto per descrivere nei fatti cosa volesse dire esattamente applicare la mentalità vincente, la condizione psicologica determinante e imprescindibile per VINCERE. Più precisamente cercavo la dimostrazione in carne ed ossa di cosa significhi adottare, utilizzandola, la mentalità Kaizen nella propria vita. Cercavo non solo la carriera sportiva, volevo qualcosa di totale, di globale, di completo. L’essere umano.
Eldrick Woods, soprannominato “Tiger” dal padre, iniziò a giocare a golf quasi ancor prima di camminare e ben presto venne ritenuto una sorta di bambino prodigio della specialità. Brevemente: Woods ha vinto il Masters nel 1997 a 21 anni e 3 mesi risultando il più giovane vincitore nella storia del torneo. Ha vinto tutti i 4 tornei Major consecutivamente: dallo U.S. Open del 2000 al Masters del 2001; questa impresa è stata denominata “Tiger Slam”, e non “Grand Slam” perché non è stata compiuta nello stesso anno solare. Nella sua carriera Woods ha mantenuto la prima posizione del ranking mondiale per oltre 600 settimane, di cui consecutivamente 264 settimane tra agosto 1999 e settembre 2004, e altre 281 consecutive tra giugno 2005 e ottobre 2010. Il 26 marzo 2013, dopo più di due anni, torna in vetta al ranking mondiale. Ha dichiarato di voler battere il record di Jack Nicklaus di Major vinti, finora è a 14 (meno 4). A 33 anni aveva guadagnato solamente 1 miliardo di dollari. Sì.
Bene, note finite. Era per dare il quadro della situazione generale sul calibro di colui di cui stiamo parlando, un po’ una sorta di previsioni del tempo su Tiger City. L’ombrello non si usa mai, insomma.
Forse.
Non vince un Major dal giugno 2008, quando sconfisse Rocco Mediate nel playoff del lunedì allo US Open. La rincorsa a Nicklaus (per cui la discussione non era mai stata “se”, ma “quando”) è ferma a 14 da quasi cinque anni. Nel frattempo, è stato protagonista della più clamorosa e rimbombante caduta in disgrazia che lo sport ricordi. Nel fine settimana del Giorno del Ringraziamento di quattro anni fa andò a sbattere in macchina contro un idrante e perse il controllo della propria vita. Oltre ad una colonna d’acqua, da quell’idrante sono usciti oscuri e tormentati particolari sulla sua vita privata, un numero impreciso ma comunque fenomenale di amanti o presunte tali e un’ossessione sessuale oltre la soglia degli umani poteri. Ha divorziato; in diretta mondiale e lasciando qualche spicciolo per strada. Ha avuto seri guai fisici alle ginocchia, al tendine d’achille e alla schiena. Ha cambiato coach e caddie per la terza volta in carriera.
Ha ricominciato daccapo.
Alzi la mano chi avrebbe puntato un centesimo sulla sua rinascita, e per di più in meno di 3 anni. Durante le conferenze stampa lungo il tragitto di riavvicinamento al golf spiegava che il gioco non c’era ancora ma si stava avvicinando, “è un processo che si fa un passo alla volta”; quasi come a spiegarci che lui sapeva già cosa sarebbe successo, come sarebbe successo, dove e quando. Aveva un piano di azione basato sui personali obiettivi, aveva una fiducia smisurata e intaccabile in se stesso, nelle sue convinzioni e nelle sue capacità. Aveva un cuore e una mente. Aveva energia e intelligenza. A volte sembrava riuscire a trovare il suo vecchio sé solo per qualche colpo, qualche buca, magari perfino un giro intero, ma niente che durasse quattro gironi: tutt’al più lampi, tanto illuminanti quanto passeggeri in un orizzonte tetro e alquanto incerto come la più grigia delle mediocrità. Quando, come è successo l’anno scorso, sembrava essere lì per giocarsela finalmente e ancora nei Major dopo le prime due giornate, e si sgretolava fatalmente nei weekend…Tiger si concentrava ancora di più, dirigeva ancora più convinzione in sè stesso e fiducia nei suoi mezzi. I tentativi che esprimeva e che non andavano a segno non lo preoccupavano. Erano solo passi di avvicinamento. E lui lo sapeva. Trasudava passione Mr. Woods, emanava la sicurezza che solo chi sa che cosa sta compiendo puó emanare.
Alzi la mano chi non era d’accordo con McElroy quando, due anni fa, disse che giocare con Tiger non gli faceva nessun effetto, no, non ne subiva la dominante presenza, in fondo era “just one of the guys”, solo uno di noi. Mai sottovalutare la passione e la volontà umana che dichiarano la loro intenzione. Tiger ha fatto questo, amici. Ha deciso di volere tornare Tiger.
Woods è di nuovo il n.1 del Mondo, dopo essere sprofondato fino in 58° posizione. La debacle umano-sportiva gli ha permesso di affinare tecnica e mentalità. La Tigre ha rivoluzionato il suo movimento tre volte, una cosa che non solo nessuno ha mai fatto, ma nessuna ha neanche mai pensato di fare. Ha lavorato su se stesso: senso di identità in primis. Si è ri-creato ri-scoprendosi, valori e convinzioni. Ha seguito una linea, progettata e scandita su di lui e sui suoi obiettivi a lungo termine: strategie mirate fuse con le capacità. Tiger ha preso per mano una nuova attitudine, la sua: egli stesso dichiara apertamente che la sua mente è la più grande arma che ha avuto a disposizione.
Forse ha ragione Azinger, vincitore di Major e capitano di Ryder Cup, quando sostiene che Woods è il solo giocatore nella storia che sia insieme un artista e un ingegnere. Ed è questo che lo distacca dagli altri: anche a 37 anni, la distanza che c’è fra lui e tutti gli altri è almeno larga quanto il Grand Canyon. Ma c’è qualcosa in più – ed è nella forza della sua mente. Commentando il Masters del 2001, in cui all’ultimo giro era accoppiato con Tiger, Mickelson disse che “è una questione di testa: io non ce la faccio a stare su tutti i colpi, su ogni buca; lui sì”.
Tiger è tornato. Ed è tornato anche in se stesso, ritrovando quell’equilibrio che sembrava irrimediabilmente compromesso dopo che era andato a sbattere contro l’idrante nel fine settimana del Giorno del Ringraziamento. Dice Stricker: “È più cordiale, rispetta gli altri. Lo puoi essere solo se sei in pace con te stesso”. Lo è al punto che ha ritrovato tutta la fiducia. Begay, un suo compagno alla Stanford University e poi sul PGA Tour, sostiene che pensa di poter vincere 20 Major, non solo di essere in grado di raggiungere Nicklaus. Di certo, ha avuto la forza di lavorare duro quando tutto era contro. Convinzioni, obiettivi e volontà. Piani di azione, concentrazione e determinazione. “Se voglio tornare a essere quello che era prima?”, ha risposto a un giornalista una ventina di giorni fa, all’Arnold Palmer Invitational “No, voglio essere meglio”.
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Con Passione,
Nicola Pacchetti
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